Si sa, il Cattolicesimo, per diventare la religione dominante, ha costruito santuari nei luoghi che già erano sacri alle divinità precedenti, così come ha scelto date già occupate da festività e momenti celebrativi. Forse per comodità, forse per strategia, o per entrambe. Perché le persone erano abituate, perché dei temi delle feste cristiane rispecchiano temi celebrati dai culti anteriori. E certamente anche per la vecchia strategia “se non puoi eliminarli fatteli amici”. O forse, ancora, perché alcuni luoghi effettivamente trasmettono sensazioni spirituali e, mi immagino, magari l’eremita o i monaci di turno ci finivano in preda a visioni, sensazioni, pratiche ascetiche varie, e non importa che un dio con la barba bianca avesse sostituito la grande dea originaria.
Ecco, un posto che ancora sembra così, che trasmette queste sensazioni, è alla Madonna del Faggio sopra Lizzano in Belvedere, Appennino bolognese.
Qui gli dei sembrano veramente essere i faggi, il silenzio e le acque della montagna.
Questa foto è tratta da www.viviappenninobolognese.it
Se alla Madonna dell’Acero, altro santuario poco lontano, il grande acero secolare c’è ancora, qui il faggio che nel Seicento ha ospitato la visione della Madonna – o chi per lei – non c’è più. Alcuni pezzi sono custoditi nella chiesina come “reliquie”… il che da un lato fa tenerezza, ma anche pena, certamente fa riflettere.
Da un lato sembra persistere in questo luogo un senso del sacro che passa per gli alberi, i boschi, la natura, e non solo immagini di un Dio con sembianze umane. D’altro canto per chi sente il sacro nella natura, e dunque nel costante mutamento di forma, quei legni in una teca sanno di vecchia fotografia scolorita, di museo stantio.
Tuttavia – tolti i fiori di plastica e le teche simil reliquia – la tettoia vuota in mezzo al bosco dove sorgeva il grande Faggio della visione mi sembra il più alto esempio di luogo sacro di oggi. Come un’installazione architettonica/artistica che riflette sul concetto di sacro, una chiesa piccola e vuota che si apre sul bosco a perdita d’occhio.
Lo prendo come un segno! Dopo secoli e secoli, persecuzioni e roghi – anche di alberi – siamo ancora qua, al cospetto dei boschi. E che tenerezza nel vedere che chi si prende cura di questo posto ha scelto un nuovo piccolo faggio da far crescere dove sorgeva quello che ora non c’è più.
Photo credits – Simone Frabboni