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Dentro il paesaggio, dentro la storia

Quando i mondi si incontrano.
A fine agosto ho partecipato a una giornata della summer school Emilio Sereni, un po’ per una serie di coincidenze fortuite, un po’ perché mi sono decisa ad andare, riordinando la lista delle priorità, ritrovando percorsi di qualche anno fa. La biblioteca Emilio Sereni all’Istituto Cervi, a Gattatico (Reggio Emilia) è un luogo che mi incuriosiva da tanto, da quando ho cominciato a occuparmi di paesaggi agrari e trasformazioni del territorio rurale negli anni del dottorato.
Il vecchio complesso contadino, dove viveva la famiglia Cervi, è stato trasformato in un museo sulla Resistenza e l’agricoltura. Accanto alla grande casa rurale, invece, un edificio moderno ricalca le forme dei tradizionali fienili di pianura e si inserisce nel contesto unendo presente e passato: ospita la biblioteca di Emilio Sereni, studioso poliedrico, e l’archivio nazionale sui movimenti contadini fino agli anni Settanta.
Tutto intorno un museo del paesaggio a cielo aperto, il parco agro-ambientale, dove si coltivano varietà antiche di cereali, frutti antichi e sono riprodotti alcuni paesaggi storici del territorio emiliano, come la classica piantata, la vite “maritata” agli alberi.
Purtroppo visto il denso programma di convegno ho avuto troppo poco tempo per girovagare e osservare, in un luogo che sicuramente merita una visita a passo lento. Un viaggio nella memoria contadina e della resistenza ma anche un luogo vivo.
La giornata è cominciata presto, avendo davanti un’ora e mezza di viaggio. La radio mi accompagna in macchina, prima attraverso le colline bolognesi, poi mentre la pianura scorre veloce e uniforme dal finestrino. E’ la seconda metà di agosto, non c’è né il traffico quotidiano dei lavoratori, né quello eccezionale degli esodi vacanzieri. Anche i camion, fortunatamente, sono meno numerosi del solito. Mentre attraverso il cuore dell’Emilia padana, però, noto alcuni camion che trasportano maiali. E’ sempre una sofferenza pensare agli allevamenti industriali, ad esseri viventi che per molti sono solo prosciutti, e infatti vengono trattati come tali.
Esco dall’autostrada, e l’odore dei grandi allevamenti ritorna, mentre le prime cascine emergono dal gomitolo asfaltato di raccordi e rotonde.
Le corti della pianura sembrano così grandi, ai miei occhi ormai abituati all’Appennino. Ci sono mattoni e intonaco al posto della pietra grigia. Le montagne qui sono le case – e i capannoni – nella pianura piatta.
Dal parcheggio alle sale della biblioteca ho poche centinaia di metri per osservare gli alberi: un viale di tigli, pioppi, un grande salice, i campi delimitati da filari e bordure che nascondono il piano apparentemente infinito della pianura. Penso ai fratelli Cervi, il cui ricordo più vivo è una canzone dei Gang. Una famiglia nota non solo per le drammatiche vicende che l’hanno vista sterminata dai fascisti, ma anche per il grande desiderio di conoscenza, di crescita culturale ed economica, in un’ottica socialista, anche attraverso la ricerca in agricoltura.
Il convegno è vivace, qualche studioso che mi piace molto, come Van der Ploeg (il sociologo rurale autore dell’indispensabile I nuovi contadini). L’atmosfera che si respira è davvero di un’accademia all’antica, dove si discute tra pari, si parla tra persone appassionate, si presentano i progetti per i giorni seguenti, fatti anche di escursioni e visite sul territorio.
Io mi fermo solo un giorno, ho barattato la quota di partecipazione per una giornata di convegno con tre copie del libro di cui sono coautrice, una proposta insolita che lo staff ha sorprendentemente accettato. Un cosa da poco, ma che mi ha dato fiducia nel percorso che sto costruendo, fuori dall’accademia, un piccolo, piccolissimo segnale della diffusione di forme di economia alternativa, ma soprattutto un segnale di interesse da parte del mondo accademico per i movimenti dal basso, che sicuramente il nostro libro – benché divulgativo – contribuisce a rappresentare.
Mi aspettavo qualche segretaria formale, invece nello staff della biblioteca-istituto Cervi, complici di questo inaspettato scambio, ho trovato delle ragazze come me. Tra loro Emiliana, di nome, ma di fatto lombarda, che ogni giorno attraversa il Po e il confine con la Lombardia, per venire al lavoro alla biblioteca. Un quarto d’ora, il grande fiume, e due regioni.
Ogni viaggio è un viaggio nel territorio, e io non avevo bene in mente la geografia della pianura intorno a Gattatico. La pianura nella mia mente sono la via Emilia e l’autostrada, Bologna – Modena – Reggio-Emilia – Parma… Parlare con Emiliana mi ha riportato alla consapevolezza la vicinanza al Po.
E quando penso al grande fiume penso a una voce alternativa che scrive, racconta e tesse dalla pianura padana: Giuseppe Moretti, tra gli “anziani” del sentiero bioregionale. Ed ecco che conosco un altro ragazzo fondatore di un GAS (gruppo d’acquisto solidale) a cui Giuseppe distribuisce i suoi ortaggi. I sentieri di chi cerca vie alternative, più lente, nel mio girovagare sembrano incrociarsi sempre più spesso!
Tra gli optional del felice scambio ho guadagnato la carpetta del convegno. Oltre alle brochure informative e al programma della summer school, agli iscritti – provenienti da tutta Italia – viene fatto omaggio di una guida ai migliori ristoranti reggiani. Sorrido della nostra grassa regione, ma il pensiero va ancora a quei maiali, che ora vedo in belle fotografie sotto forma di fette di prosciutto, mortadelle, culatelli.  “Food”. Bologna city of food. Ma anche Reggio.

Arrivando alla summer school

Sugli argomenti del convegno ci sarebbe molto da dire, magari lo farò in post successivi, ma l’informazione e riflessioni che più mi hanno colpito di questa giornata sono arrivate proprio alla fine. Ho ricevuto un’accoglienza inaspettata, non solo io, ma il libro per cui sono stata citata, Genuino Clandestino, Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere. Da un momento all’altro – letto un po’ il libro in un momento di pausa – mi hanno proposto di improvvisare una presentazione verso sera. La cosa interessante è che il mio discorso ha seguito la presentazione di un altro libro, Storia del lavoro in Italia, a cura di Stefano Musso. Una ricerca storica completa sul mondo del lavoro dl Novecento a oggi. Gli autori hanno fatto notare come il panorama lavorativo attuale, dall’inizio del nuovo millennio, sia molto simile per condizioni di lavoro, precarietà, forme contrattuali, pressione sociale, ai primi anni del Novecento. Allora però le ragioni erano da ricercare in un contesto di crescita economica e di sviluppo industriale. Ora, al contrario, si riscontrano condizioni pessime, quanto un secolo fa, ma in un panorama generale di stagnazione economica e crisi culturale. La riflessione per me molto rilevante si ha se associamo questi dati a quelli sull’occupazione agricola: un secolo fa circa il 50% delle persone erano occupate in agricoltura, mentre oggi lo sono solo il 3%. Un dato che di solito è considerato anche indice di “sviluppo”. Ma allora, di quale “sviluppo” parliamo? Per rompere la precarietà lavorativa allora non può essere una via fondamentale quella di rifondare l’agricoltura, far tornare a crescere quel misero 3%? Oppure, magari non si sconfigge la precarietà tornando alla terra, ma almeno si incrementare la qualità della vita, si mette in discussione lo “sviluppo”, inteso come crescita economica fine a sé stessa, industrializzazione e terziarizzazione dell’economia.
Per questo i due libri presentati, così diversi, avevano un filo conduttore comune. Genuino Clandestino mostra i volti di alcune persone che stanno percorrendo questa via, una via difficile se non si dispone di grossi investimenti, dei mezzi di produzione, o almeno della terra, che è ancora un bene rifugio. Mostra la precarietà, ma anche la luce, la qualità della vita.
Quando penso ai maiali penso ai tre realtà agricole, tra Lazio, Romagna, Umbria: a Cesare, che ha venduto i suoi di cinta senese (o forse svenduti) per ritornare a fare il falegname; alle “tre bionde”, parte di un’azienda familiare romagnola, che portano ai mercati di Bologna carne e salumi di mora romagnola; penso ai racconti di Fabio e Picio sull’allevamento semibrado, sul difficile momento – alle porte dell’inverno – quando hanno a che fare con la morte. E alla soddisfazione di quando, magari durante un evento festoso, portano i loro prodotti.
Penso ai convegni sull’agricoltura del futuro, dove dentro alle vecchie case contadine ci saranno biblioteche, musei, storia, ma ci saranno ancora le stalle e i caseifici, piccoli, a conduzione familiare, sensati, non che si debba avere due bagni se magari in azienda si è in due a lavorare, un uomo e donna, come succede spesso.
Penso ai mondi che si incontrano, alla ricerca militante sul campo che incontra l’accademia.
Penso a Giuseppe e al Po.
A Emiliana che conosceva i protagonisti di una tappa del nostro libro (le Cingiallegre) da quando era giovanissima, dallo stesso centro sociale di Cremona.
Quando i mondi si incontrano sono sempre fiduciosa.

4 commenti su “Dentro il paesaggio, dentro la storia”

  1. Che bel posto – mi verrebbe da definirlo polo nel doppio senso di luogo di raccolta e di luogo da raggiungere, conquistare. Hai fatto benissimo a regalarti questa giornata, e a provare a farla tua fino in fondo.

    1. Bella definizione, a pennello! sì, è un posto interessante, e anche bello. Grazie dell’incoraggiamento, a volte ci si arena, ci si distrae, ho proprio interpretato la giornata come invito a seguire ciò che mi piace e mi interessa. Insistiamo! 😉

  2. Pingback: Summer school Paesaggio, patrimonio culturale e turismo – Radure

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