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Il ritorno dei boschi

Questo blog nasce da più stratificazioni nella foresta della mia mente. Per l’esigenza di confrontarsi attivamente col web, che è proprio una selva; per fare ordine di ciò che è fuori, ma anche per tenere il filo di ciò che è dentro di me, lasciando delle tracce per chi ha uno spirito affine, ma anche per me, per segnare il cammino e poter sempre tornare a casa.
Il titolo del blog lascia trasparire percorsi in equilibrio tra selvatico e coltivato, una relazione sottile e intima tra uomo e natura, la passione per la montagna e il bosco, il camminarci dentro come metafora della ricerca, ma anche come pratica di scoperta, di movimento, spesso in branco (due bipedi e due quadrupedi). Questo blog vuole scoprire e segnalare radure, luoghi e pensieri positivi, e aspira a essere una radura a sua volta.
Radure come spazi in cui ritrovarsi (e a volte per ritrovarsi bisogna perdersi!), per trovare momenti di nuova comprensione, notizie utili, bellezza dentro cui camminare e sperimentarsi, ognuno a modo suo.
Persiste il desiderio di una nuova vita, da reinventare là dove i boschi sono più rigogliosi, abbondanti e antichi. C’è poi il lavoro che facciamo con Simone, che ha a che fare col bosco e il legno: essenze non commerciali e selezionate direttamente da noi diventano gioielli o oggetti di design. Spesso sfuggendo alla stufa.
Quando ho scelto il nome per un nuovo progetto di blog che potesse esprimere tutto questo, insieme ai miei studi sulle economie alternative e sui paesaggi rurali contemporanei, ho capito che stavo andando in una direzione chiara, di ricerca e di vita. Mi volevo occupare molto più di Selvatico che di Coltivato (interessanti al riguardo le riflessioni su questo del pensiero bioregionale, qui solo un assaggino).
Alcuni anni fa svolgevo il mio dottorato in geografia umana e mi occupavo di trasformazioni del paesaggio agrario, consumo di suolo, urbanizzazione selvaggia (anche quella!), quando ho scoperto un dato interessante e, per me, inatteso: i dati sui cambiamenti di uso del suolo dei terreni agricoli indicavano due direzioni, solo apparentemente opposte. Un cinquanta per cento dei terreni agricoli apparivano trasformati in suolo urbanizzato, per allargare città, infrastrutture, servizi, aree industriali. Ma l’altro cinquanta per cento dei suoli agricoli apparivano persi a causa del rimboschimento. Due direzioni solo apparentemente opposte, ma che testimoniano un unico fenomeno prevalente: l’avanzare del modello urbano, non solo come forma del territorio, ma come complesso di stili di vita dei suoi abitanti. Così le nuove urbanizzazioni coinvolgono i terreni agricoli fertili delle poche pianure italiane, mentre  il selvatico si prende la rivincita nella gran parte – dimenticata – del nostro paese: i terreni difficili di montagna.
Da decenni i contadini e i pastori (altra anima dimenticata della nostra identità millenaria) scendono dai monti e si adattano alla vita urbana e al lavoro salariato. Secondo l’Annuario dell’agricoltura italiana la superficie a bosco nel 2014 ha raggiunto i 10,9 milioni di ettari, il 5,8% in più rispetto al 2005. In trent’anni i boschi hanno guadagnato più di 3 milioni di ettari, arrivando a coprire un terzo della penisola (National Geographic). Sicuramente quantità non significa qualità, il bosco richiede cure impossibili con l’abbandono dell’Appennino, mentre tanti sono i rischi di questa situazione, primo e più noto quello idrogeologico. Tuttavia lo spirito selvatico  – o misantropo? – non può non condividere un certo entusiasmo per l’avanzata di questi giovani pionieri, coraggiosi e pieni di vigore. L’anima indugia tra sentimenti contrastanti. Da un lato il senso di perdita di una intera civiltà, resiliente e genuina, dove l’agricoltura era “multifunzionale” senza bisogno di scriverlo sui bandi del PSR (Piani di Sviluppo Rurale, che elargiscono i contributi della PAC, la Politica Agricola Comunitaria della Unione Europea). Dall’altro un senso di spazio che sembra crearsi più facilmente per quanti cercano terra e sono propensi a vivere in luoghi più remoti e, appunto, selvatici.
E così, avevo da poco focalizzato che il mio interesse, di ricerca e di vita, spingeva chiaramente verso i boschi, avevo deciso con questo blog di cominciare a segnare qualche sentiero, che mi arriva una chiamata inattesa.

<<Salve!, sono XY giornalista del Terzo Canale, lei si occupa di boschi? Mi accompagna per  una passeggiata, per andare vedere e toccare con mano le trasformazioni dei paesaggi dell’abbandono nelle nostre montagne?>>. Sintentizzata in due parole. Un po’ come i due minuti e mezzo di trasmissione, nell’arco dei venti minuti della puntata di FuoriTG, tratti dalla nostra bella giornata di cammini per i boschi dell’Appennino tosco-emiliano e i borghi abbandonati, insieme al giornalista Giorgio Galleano.

Qui si può rivedere la puntata.

Purtroppo dopo poco tempo è uscita la notizia che FuoriTG, in onda su Rai3 tutti in giorni alle 12.25, dovrebbe essere sostituito da settembre 2016 da un’edizione quotidiana di “Chi l’ha visto”, cosa assai triste dato che si eliminerebbe uno dei pochi approfondimenti rimasti nella TV pubblica.
Come l’Appennino anche gli spazi televisivi sono abbandonati dai contenuti storici di qualità, a causa di un sistema economico che tende alla semplificazione e a politiche che ne sono succubi.

Gallery photo credits: Simone Frabboni

2 commenti su “Il ritorno dei boschi”

  1. Anche grazie al tuo appoggio siamo riusciti a salvare Fuoritg, che riprenderà il 12 settembre nel nuovo spazio delle 13:40 per 15 minuti. Alla prossima!

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